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La Lucania


Melchiorre da Montalbano



MELCHIORRE (Melchiorre da Montalbano) – Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo scultore e architetto, attivo nell’Italia meridionale e sopratutto in Lucania dalla metà del Duecento (notizie tra il 1253 e il 1271).


 



Melchiorre da Montalbano noto scultore e architetto lucano, artefice di numerosi capolavori, come la Chiesa di Rapolla, la basilica di Santa Maria di Anglona, l'abside della Cattedrale di Matera, l'abside della cattedrale di Acerenza, il pulpito della chiesa di Teggiano. Melchiorre da Montalbano ebbe i natali in Montalbano Jonico nel XIII secolo, artigiano, mastro muratore e chierico della Chiesa di Anglona, firmava le sue opere con una scimmia che copula un coniglio. Le sue opere si trovano disseminate non solo sul territorio lucano: a Rapolla, Miglionico, Matera, Banzi, Tolve, Marsiconuovo, Calvello, Anglona (presso Tursi), ma anche in Puglia e Campania dove a Teggiano realizza il pulpito (uno dei primi rarissimi esempi in Italia di scultura firmata) scolpito da Melchiorre da Montalbano, datato 1271. Altre opere assegnate allo scultore sono il candelabro pasquale di Bominaco, un capitello conservato ad Atella e due portali a Marsico Nuovo e uno a Calvello, questi ultimi veramente distanti dalla cultura espressa dal maestro tanto a Rapolla quanto a Teggiano. In veste di protomagister Melchiorre comparirebbe, secondo alcuni studiosi, anche nell'abbazia di San Guglielmo al Goleto (in Campania). Dall’analisi di tale plastica architettonica è derivata nella critica l’opinione che la formazione di Melchiorre sia avvenuta nei cantieri dei castelli federiciani di Puglia e Lucania, come Castel del Monte o Castel Lagopesole (gli scultori che lavorarono a Lagopesole furono Mele da Stigliano, autore del portale della cappella e dei capitelli, con il quale collaborò Melchiorre da Montalbano).

Elenco delle sue opere che si trovano sul territorio lucano:

- Rapolla: la Cattedrale. Del 1253 è l’iscrizione che riporta la firma del magister Melchiorre da Montalbano il quale partecipa alla ricostruzione della cattedrale realizzando il portale di pregevole fattura, i pilastri di forma ottagonale delle prime due campate e i due imponenti pilastri cruciformi composti con otto colonnine incastrate tutt’intorno.

- Marsiconuovo: Chiesa di S. Gianuario. Di Melchiorre da Montalbano e bottega sono la Stipite e le colonnine del Portale, sculture lapidee realizzate nel XIII secolo.

- Marsiconuovo: Chiesa di San Michele Arcangelo. Portale del XIII secolo realizzato dalla bottega di Melchiorre di Montalbano.

- Calvello: Portale, chiesa s. Maria del Piano: questa è d’impianto romanico e ha la facciata in pietra viva a vista. Il portale principale proviene dalla bottega di Melchiorre da Montalbano.

- Santuario d' Anglona (presso Tursi): l'abside, opera di Melchiorre da Montalbano e le formelle dei simboli dei quattro Evangelisti e dell’Agnus Dei e i capitelli del campanile.

- Tolve: Chiesa di San Pietro, l'imponente portale romanico in pietra è stato attribuito alla scuola di Melchiorre da Montalbano (fine del XIII secolo).

- Miglionico: la chiesa di Santa Maria Maggiore


Melchiorre da Montalbano, le origini anagrafiche, legate alla città di Montalbano Ionico (presso Matera) e tradizionalmente unite dalla critica al nome di Melchiorre (da cui la consueta denominazione di Melchiorre da Montalbano), sono state ritenute un dato biografico non autentico, derivato da una non corretta interpretazione dell’iscrizione posta sull’architrave del portale della cattedrale di Rapolla, con cui l’artista firmò la prima delle sue opere note. Il passo «Albano Monte nutrit(us)» si riferirebbe, infatti, non all’artista, ma al vescovo Giovanni, menzionato come promotore dei lavori di edificazione della cattedrale. Parimenti, allo stesso vescovo deve riferirsi l’altra indicazione biografica presente nella stessa epigrafe e generalmente attribuita a Melchiorre, ovvero lo status di appartenente al clero di Anglona (nel Materano). Le sole fonti di cui si dispone per ricostruire i momenti dell’attività di Melchiorre vengono fornite dallo stesso artista. Si tratta di due iscrizioni: la prima è la già citata epigrafe della cattedrale di Rapolla (1253), la seconda è invece posta sul fianco sinistro del pulpito di S. Maria Maggiore a Teggiano, del 1271. (La firma apposta sulle due opere di diversa natura, distano quasi vent’anni l’una dall’altra) Dalle due iscrizioni che contengono il suo nome, fraintese in parti sostanziali dalla critica, nulla è possibile sapere della sua origine anagrafica e delle sue vicende biografiche.In mancanza di altri dati documentari, le iscrizioni consentono di individuare con certezza due momenti della carriera di Melchiorre: le opere di cui esse attestano la paternità sono dunque le sole a essere ascrivibili al maestro con certezza. Nell’iscrizione sul portale della cattedrale di Rapolla, Melchiorre è qualificato come «faber» dell’Opera, ovvero architetto, e si dichiara che il suo intervento si limitò alla sopraelevazione delle «parti più alte» della fabbrica, cioè alla copertura voltata della chiesa. Il pessimo stato di conservazione dell’edificio, che ha subito nei secoli numerose ricostruzioni e la cui volta è stata a più riprese riedificata a causa di ripetuti crolli dovuti a violenti sismi, rende però difficile stabilire la portata dell’intervento di Melchiorre. Una testimonianza dell’antica conformazione dell’edificio duecentesco è data comunque dalla presenza degli originari pilastri a fascio, da mettere in relazione alle parole di Bertaux (1897 e 1903), il quale vide tracce delle originarie volte a crociera costolonate. L’unica parte superstite della cattedrale sicuramente spettante a Melchiorre è da ritenersi il portale, a rincassi multipli e dai capitelli pienamente inseriti nel solco delle esperienze figurative gotiche (del tipo a crochets e a foglie d’acanto salienti o dagli apici ricurvi), vicini agli esemplari svevi. Dall’analisi di tale plastica architettonica è derivata nella critica l’opinione che la formazione di Melchiorre sia avvenuta nei cantieri dei castelli federiciani di Puglia e Lucania, come Castel del Monte o Castel Lagopesole; tuttavia, risulta impossibile precisarne la fonte diretta. La seconda opera di Melchiorre è il pulpito di S. Maria Maggiore a Teggiano, ben conservato anche se mutilo in alcune parti, sul quale egli si dichiara stavolta «mag[iste]r», riportando la data di esecuzione (1271). Una lettura errata dell’iscrizione ha però condizionato fino a tempi recentissimi la critica, che riteneva l’opera eseguita nel 1279. La struttura del pulpito ha subito manomissioni nel corso dei secoli, circoscrivibili non tanto ai documentati lavori ottocenteschi quanto a una fase risalente al XVI secolo, periodo a cui vanno ricondotte le lastre inserite nel retro della struttura. Il pergamo mostra una raggiunta maturità da parte di Melchiorre, derivata dallo studio dell’arte antica e dall’acquisizione di innovazioni che lo rivelano partecipe dell’ambiente culturale di un grande artista, Nicola di Bartolomeo da Foggia, autore del pulpito del duomo di Ravello, che segue, almeno in ordine cronologico (1272), quello di Teggiano. Il pergamo di Ravello è architettonicamente distante da quello di Teggiano, ma per aspetti stilistici e presupposti culturali va ritenuto la testimonianza a questo più vicina. La sostanziale coincidenza cronologica dei due pulpiti esclude che l’uno abbia potuto influenzare l’altro, ma l’inequivocabile segno che i due artisti furono legati agli stessi ambienti è dato da particolari comuni, come il repertorio decorativo o la resa plastica e intensa della figura umana. Basti cogliere, in proposito, il vigore plastico nella rappresentazione dei due progenitori o del telamone sul lettorile di Teggiano, oppure l’intenso naturalismo del cervo collocato in uno dei pennacchi dell’archetto trilobo frontale. Melchiorre si rivela, tuttavia, un artista abile, ma nello stesso tempo aspro e vigoroso, che non arriva alla raffinatezza del collega pugliese. Si è quindi tentato di ricercare le fonti di tale originale personalità, aggiornata ma allo stesso tempo rivolta al passato (in tal modo sono stati almeno interpretati i brani più corsivi del pulpito di Teggiano). Queste sono state rintracciate, oltre che nei cantieri federiciani di area pugliese, in ambito abruzzese da alcuni, nella regione di presunta provenienza di Melchiorre, la Basilicata, da altri. Una nuova e suggestiva lettura ha invece interpretato gli elementi «retrospettivi» del pulpito proponendo una datazione delle sue parti ritenute più arcaiche all’ultimo ventennio del XII secolo. Secondo tale ipotesi, il pulpito sarebbe esito di due differenti campagne di lavori, la prima di fine XII secolo, la seconda duecentesca e spettante a Melchiorre, che avrebbe accordato le parti di sua spettanza a quelle di un pulpito precedente. Partendo dai due monumenti certi e dalle presunte origini di Melchiorre, altre opere sono state attribuite a lui e alla bottega, soprattutto in area lucana, nessuna di queste attribuzioni è però convincente, data la distanza notevole con le opere autografe. In Campania è stata proposta, con fondata cautela, l’attribuzione a Melchiorre della chiesa superiore del monastero di S. Guglielmo al Goleto (1247-55), che presenta forti assonanze con la plastica architettonica di Castel del Monte, condividendone anche il livello qualitativo estremamente raffinato. È probabile invece una partecipazione di Melchiorre alla ricostruzione di S. Maria Maggiore a Teggiano, che vide la luce negli anni in cui veniva realizzato il pulpito, ma che è stata completamente ricostruita alla fine dell’Ottocento. Lo dimostrerebbe il portale della chiesa, opera non firmata in cui è però possibile riconoscere la mano di Melchiorre, per gli indiscutibili riscontri con le due opere autografe. A Teggiano sono attribuiti a Melchiorre altri manufatti, come le quattro lastre figurate in S. Michele Arcangelo, delle quali non è possibile chiarire la provenienza e la destinazione. Tre di esse, con gli evangelisti Marco, Giovanni e Luca, sebbene siano estremamente simili nella composizione a quelle del pulpito in S. Maria Maggiore, devono tuttavia ritenersi opera di bottega, mentre la quarta, con la raffigurazione di S. Matteo, deve considerarsi proveniente da un diverso ambito culturale e cronologico. Melchiorre, era un “ Magister “, lo scrive lui stesso nell’iscrizione posta all’interno del portale di Rapolla, lui aveva diritto di firma ed aveva ricevuto mandato a farlo dal suo committente. Verosimilmente aveva una sua squadra di lapicidi che non raggiungevano il suo estro e basta questo a spiegare alcune incertezze stilistiche. Melchiorre si è appropriato delle novità dell’arte cistercense, dimostrandolo sia a Rapolla che a Teggiano, e le interpreta con una certa meridionalità, non può non essere colta una ripetizione di formule locali a tratti grossolane ed imbevute di elementi romanici. Sono da elogiare le forme e le proporzioni del portale di Rapolla indicando per Melchiorre, un verosimile iter artistico, sbocciato sicuramente in ambito della corte imperiale sveva-federiciana, probabilmente a Lagopesole per la maggiore propensione all’utilizzo di elementi copiati al mondo vegetale e dove il giovane Melchiorre avrà fatto i primi passi. È evidente, infine, come la personalità di Melchiorre vada inserita tra i magistri dalle versatili competenze che operarono nell’ambito della cerchia federiciana e negli ambienti che ne proseguirono gli indirizzi in età ormai angioina. Nel 1200 quando la Lucania venne a far parte del regno di Napoli, in uno scenario ancora feudale, questo è un periodo molto vivace artisticamente e culturalmente perché mentre alla corte di Federico ll si discuteva di diritto, di latino, di astronomia e si progettava la costruzione di solidi castelli, di contro anche la Chiesa, che cercava di contenere le idee circolanti della cultura federiciana promuoveva lo studio del latino e progettava opere architettoniche per sbalordire e mantenere desto il sentimento religioso delle popolazioni. Ma la vera cultura popolare, che si nutriva di elementi greci, musulmani, bizantini e longobardi, perde di vigore rispetto alla cultura ufficiale ‘Sveva’ e si esprime soprattutto nel fervore di architetture ecclesiastiche e militari. Si verifica il primo passo di folklorizzazione della cultura originale. Infatti lo stesso Melchiorre da Montalbano fu in contatto con Bartolomeo di Foggia e con Nicola di Bartolomeo, innesta sulle radici romanico-lucane i modi gotico-borgoglioni. Nel 1252 dietro invito del Vescovo Giovanni d’Anglona realizzò il portale della Cattedrale di Rapolla dove Melchiorre aveva voluto adoperare delle colonne di marmo provenienti da un edificio antico. Si denota qui, un gusto per il recupero delle forme classiche, che si manifesta anche nella decorazione della parte superiore esterna dell’abside della Cattedrale di Santa Maria d’Anglona. Il ricordo dell’antico si evidenzia nelle lastre calcaree scolpite a mò di triglifi. Ad Anglona invece realizzò le formelle dei simboli dei quattro Evangelisti e dell’Agnus Dei e i capitelli del campanile. L’unica notizia certa è quella che si può rilevare da un iscrizione latina sulla porta maggiore del Duomo di Rapolla che così afferma “ Clericus Anglonicus Albano Monte nutritus-Melchior est faber operis laudabilis Huvius”. Non si conosce ne' la data di nascita ne' il luogo e la data di morte di Melchiorre.



LA CATTEDRALE DI RAPOLLA

Imponente si erge, nel centro di Rapolla, la Cattedrale. Terminata nel XIII secolo da Melchiorre di Montalbano è stata restaurata più volte ed ha perso la fisionomia primitiva. Conserva ancora, però, un notevole portale romanico, un robusto campanile, opera del maestro Sarolo di Muro Lucano e nel fianco sinistro della Chiesa due bassorilievi dello stesso artista, che rappresentano Il peccato originale e l'Annunciazione. La Cattedrale fu edificata nel 1209 sull'antica cattedrale paleocristiana, che era sorta su un tempio greco. Riedificata nel 1253, dall'architetto Melchiorre da Montalbano, ha conservato questa sua antica struttura. L'interno, a tre navate con archi e capitelli, custodisce un crocifisso del 1500 ed è decorato da bassorilievi raffiguranti il Peccato Originale e l'Annunciazione, opere di Sarolo da Muro Lucano. Nell'abside domina un maestoso Crocifisso di legno scolpito e policromato del XIII secolo, su croce ad albero. È uno degli esemplari più espressivi di scultura lignea dell'Italia Meridionale. L'immagine che la Storia ci ha restituito di molti paesi della Lucania è spesso fuorviante. Le catastrofi naturali vero tormento di queste terre e l'incuria dell'uomo hanno spesso stravolto l'aspetto originario degli antichi centri. Succede pertanto di scoprire, con una certa meraviglia, alcune importanti testimonianze artistiche, uniche tracce superstiti di un passato per altri aspetti irrimediabilmente perduto. E il caso della cattedrale di Rapolla, crollata varie volte nel corso dei secoli ma che ancora oggi conserva interessanti elementi artistici e architettonici di età medievale, manifestazioni da un lato della cultura del maturo XII secolo, dall'altro di un circuito di esperienze collegate ai grandi cantieri imperiali del XIII secolo. Rapolla fu per tutto il Medioevo un importante centro della zona del Vulture, vicina alla via Appia e distante appena pochi chilometri da Melfi, nel periodo normanno svevo senza dubbio la città più grande e importante della Basilicata. La prima attestazione di una sede vescovile si ha in un documento del 1037 in cui compare un vescovo Nando. Poco attendibile è l'ipotesi dello storico locale Mauro Ala circa l'esistenza di un vescovo rapollano nel 603, basata sul ritrovamento, dopo il terremoto del 1930, di una sepoltura, in un luogo imprecisato della chiesa, coperta da una lastra in pietra con su erano incise le parole AGNUS EP... . L'iscrizione è andata perduta ma tale dato potrebbe indicare l'esistenza di un precedente edificio sacro (nel racconto dello storico sono anche menzionate tracce di alcuni muri non relazionabili all'attuale chiesa) che, come di consueto, svolgeva anche la funzione di luogo di sepoltura. L'esistenza di un vescovo Agnus assente nella cronotassi vescovile di Rapolla, pone invece il problema della necessità di ulteriori indagini nella documentazione scritta. Sia pure di dimensioni modeste il piccolo centro in epoca normanna non venne inserito nella nuova provincia ecclesiastica lucana voluta da Papa Alessandro II nel 1068 ma risultò essere sottoposto direttamente alla Sede Apostolica. La motivazione di tale assenza è stata spiegata come un atto di riconoscimento nei confronti dei vescovi Oddone e Ursone (quest'ultimo futuro potente arcivescovo barese), i quali risultano essere tra i più stretti collaboratori di Roberto il Guiscardo. Il destino della città sembra segnato sin dall'inizio da una serie di distruzioni. La prima di esse avvenne ad opera degli abitanti della vicina Melfi nel 1183; una seconda distruzione si ebbe nel 1255 ad opera del suo stesso feudatario Galvano Lancia (ad extremam quodammodo desolationem cívitas ipsa) in seguito alla ribellione della città all'indomani della morte dello Svevo. All'azione dell'uomo in seguito si affiancò quella dei terremoti. Se notizie certe non si hanno fino al terremoto del 1694 è possibile ipotizzare che la città del Vulture, sin dal terremoto del 1284 abbia subito numerosi danni, risultando i centri ad essa immediatamente vicini più volte distrutti. Nel 1694 lo Strafforello riporta che la "bella cattedrale... ad eccezione del portone nella facciata, fu atterrata intieramente". Il quadro del terremoto del 1857 appare ancora più desolante. La città "ben difesa dalla natura e dall'arte, che parte scrollate e parte nereggianti esistono fiancheggiate da quindici torri con castello e fossata ....non è rimasta immune dal comune flagello" scrive il Paci, la cattedrale "che non poco avea patito nel tremuoto degli 8 settembre 1664, quando perdè il suo rinomato campanile ....restituiti (la chiesa ed il campanile stesso) alla decenza del culto... dalla magnanimità di Mr. Bovio, oggi non sono più .... Questo duomo.... in un baleno cadde in rovina, e solo un mucchio di pietre mostra ove già fu". L’illustrazione che accompagna il testo mostra un edificio ormai diruto del quale restano parte della facciata con il portale, stretto tra due barbacani (un terzo si nota sul lato destro della facciata), la cupola settecentesca per metà crollata ed infine una piccola finestra a sesto scuto in alto a sinistra in corrispondenza della navata laterale dell'edificio. Una ulteriore distruzione si ebbe per il terremoto del 1930. Estremamente interessanti sono le osservazioni dell'allora Sovrintendente Eduardo Galli. Vale la pena riportarle: "La cattedrale di Rapolla con l'annesso campanile ...sono purtroppo da annoverare fra gli edilizi sacri più gravemente danneggiati dal terremoto, non solo dall'ultimo movimento sismico del 23 24 luglio di due anni fa, ma anche dai precedenti sino a quelli della metà circa del secolo passato ... E’ accaduto quindi che profonde alterazioni, anche di pianta, subisse l'insigne tempio... cosicché ben poco è sopravanzato, specialmente nella parte absidale della chiesa, dell'opera di fra Melchiorre". Di qui si passa ad analizzare, nello specifico, le condizioni dell'edificio: "E rimasto perfettamente a posto il portale originario... mentre la parte alta ed aggiunta del prospetto è caduta. Nell'interno sono crollate tutta la volta della cappella del Sacramento sulla testata sinistra del transetto ...parte della volta della contrapposta cappella dell'altro lato, adiacente al campanile (il quale ha perduto quasi tutta la cella campanaria), parte anche della volta di crociera... Di tutta la struttura dell'edificio, gli elementi che sembrano più solidi, ...sono i pilastri lapidei rimasti a piombo...". Sull'esito dei restauri, la cui storia è ancora tutta da scrivere, ci da notizia Mauro Ala, spettatore all'epoca dei fatti che riferisce dell'intervento di restauro del Genio Civile sotto l'allora Soprintendente Franco Schettini. I danni riportati dall'edificio risultarono così ingenti che venne purtroppo deciso di radere al suolo l'intero edificio per ricostruirlo. Una vecchia foto mostra l'interno della chiesa nella ricostruzione ottocentesca, senz'altro molto più fedele all'aspetto originario della chiesa. In tale occasione furono completamente distrutte anche le numerose cappelle che nel corso del tempo erano state aggiunte al vecchio edificio. I lavori di restauro procedettero comunque molto lentamente, interrotti dallo scoppio della guerra. L'inaugurazione del nuovo edificio avvenne solo il 15 agosto del 1959 (come ricorda la lapide inserita nella controfacciata della chiesa, nella navata sinistra). Eppure, nonostante le continue distruzioni, quasi per uno scherzo del destino, si sono conservate numerose iscrizioni relative alla fabbrica medievale le quali ci forniscono importantissimi dati relativi alle fasi di costruzione, ai committenti, agli autori delle opere, alle modalità di finanziamento della nuova cattedrale. La prima data che si ricava è quella del 1209, anno in cui un magister di nome Sarolo, originario della vicina città di Muro, attese alla realizzazione del campanile ed ai rilievi raffiguranti l'Annunciazione e i Progenitori. L'iscrizione è incisa su una lastra in pietra attualmente murata alla base del rilievo con l'Annunciazione. Un tempo entrambe le lastre erano inserite sulla parete ovest del campanile, da cui furono spostate dopo i restauri degli anni '30 per essere collocate sulla parete sud della chiesa, dove ancora oggi si trovano. Vale la pena riportarne il testo, che a partire dalla trascrizione fatta da Emile Bertaux nel 1897 è stato in genere pubblicato in modo errato: A(N)NI SU(N)T M(ONI)TI NUMERA(N)TIS MILLE DUCE(N)TI / ATQU(E) NOVE(M) PRIMO CUM ME FU(N)DAVIT AB IMO / P(RE)SUL RICCARDUS NEC OPE(M) NEC OPES DARE TARD(US) / A(N)NUS COLLATU(M) POST ILLI PO(N)TIFICATU(M) / T(ER)CIUS EX(TREMU)M LAPIDE(M) POSUIT M(IH)I PRIM(US) / POSTQUE(M) DEVOTA GE(N)S ASTITIT AD PIA VOTA / ILLE MAGIST(ER) ERAT, SI Q(UI)S DE NOMINE QUERAT / MURANI SAROLI CUI CURA FUIT DATA SOLI. L’iscrizione presenta diverse difficoltà, che solo un'accurata analisi epigrafica potrà risolvere. Un fatto singolare, stranamente sfuggito a tutti coloro che fino a questo momento si sono occupati del monumento e del suo autore è l'epigrafe in esame, divisa in sei frammenti, durante i restauri di inizio secolo venne montata invertendo i due frammenti sul lato destro, la cui lettura risulta pertanto incomprensibile. Al contrario, spostando il frammento inferiore destro nella zona superiore il testo si ricompone e la lastra ritorna ad avere la forma rettangolare originaria. Altro elemento importante è che il testo è in esametri, segno dell'alto livello culturale del committente che lo compose. Tale dato giustifica anche la complessa costruzione sintattica, ordinata in funzione del verso metrico. La stessa successione metrica consente, inoltre, di sciogliere alcune abbreviazioni in modo più corretto, come nel caso del moniti (dalla costruzione), che il Bertaux interpreta come munti. Altri problemi presenta l'espressione extremum lapidem: quest'ultima parola mostra, infatti, una serie di segni, incisi con un tratto leggermente più sottile, che si sovrappongono gli uni agli altri. Forse un errore dello scalpellino oppure una più tarda manomissione del testo per un motivo che al momento ci sfugge? Il senso dell'epigrafe è comunque chiaro: il campanile venne innalzato sotto il vescovado di Riccardo, il dotto prelato che ispirò il testo (un altro vescovo sconosciuto alla serie dell'Ughelli), grazie alla generosità dei fedeli, nell'arco di un solo anno. Altre iscrizioni accompagnano i due rilievi scultorei. In quello raffigurante Adamo ed Eva, dopo il Peccato originale, lungo la cornice si legge: ANNO MCC NONO FRAUDE SUA COLUBER POMUM DECEPIT EVAM, DATQUE VIRO MULIER MORTEM SIMUL ET IVI SEVAM EVE DAMNA PIA REPARAVIT VIRGO MARIA DUM REGEM PEPERIT QUI FUIT EST ET ERIT Sulle edicole che separano le due figure dell'Annunciazione è invece riportato il brano del Vangelo di Luca: AVE MARIA GRACIA PLENA D(OMI)N(U)S TECUM. La Vergine è rappresentata con il fuso in mano intenta a filare la porpora per il velo del Tempio, secondo la tradizione derivata dai Vangeli Apocrifi. L'accostamento della scena della Tentazione con l'Annunciazione è abbastanza frequente nell'iconografia medievale e sottolinea la virtù della madre di Cristo che dando alla luce il Redentore riscatta l'umanità dall'errore commesso da un'altra donna. Anche i due rilievi sono frutto di un tardo rimontaggio di vari frammenti scultorei. Se la cornice modanata che racchiude la scena del Peccato è frutto di un vecchio restauro, l'archivolto con girali, insieme alla colonnina che lo sostiene ed al leone stiloforo, non sono pertinenti all'opera di Sarolo. La presenza di una finestra sul lato sud del campanile, il cui archivolto, sostenuto da due mensole zoomorfe, presenta un motivo a girali affine a quello in esame suggerisce l'appartenenza di tali frammenti ad un'altra finestra andata distrutta in seguito ad uno dei tanti crolli della struttura. In asse con la finestra ancora esistente è un rilievo funerario di età romana la cui presenza, piuttosto che essere prova di una precedente occupazione del suolo, come sostenuto dal Rescio, è spiegabile con la pratica medievale di inserire pezzi di spoglio sulle facciate o sui campanili degli edifici sacri, per sottolineare il senso dell'antichità e della continuità rispetto ad un passato antico e nobile (si pensa al caso della vicina Venosa). Inoltre, secondo una notizia riportata dal Chiaromonte sul campanile della chiesa di Rapolla fino al 1930 era visibile una lastra marmorea che ricordava i lavori eseguiti dopo il terremoto del 1456 da Troilo Caraffa, vescovo di Rapolla dal 1488 al 1497. Di questi lavori esile traccia potrebbe essere la mensola inserita tra l'imposta dell'arco ed il capitello sulla lastra dell'Annunciazione. Quanto all'autore la sua firma compare su un'altra iscrizione del 1197 incisa sul portale della chiesa di Santa Maria di Pierno, vicino San Fele (un edificio di pellegrinaggio sorto nelle vicinanze della via Erculea). A questo maestro, scultore e architetto, sulla scia di alcune osservazioni del Bertaux, sono state attribuite la pressoché totale maggioranza di opere romaniche della regione. E’ un problema che va chiaramente rivisto, così come da poco si è cominciato a fare. Da un punto di vista stilistico formale i rilievi del campanile di Rapolla sono stati fatti derivare da modelli pittorici, forse a causa di quel certo illusionismo spaziale trasmesso dalle figure fortemente aggettanti dal piano di fondo della lastra, in particolare nella scena dell'Annunciazione. Tanto l'Arcangelo Gabriele quanto la Vergine paiono mal sopportare l'angusto spazio delle due edicole in cui sono inserite. II seggio su cui è seduta la Vergine, interessante rappresentazione di un sedile medievale, occupa lo spazio destinato alla colonnina che sostiene l'arcata, la quale risulta pertanto spezzata e sospesa nel vuoto. Le ali dell'Arcangelo, invece, impediscono addirittura l'inserzione dei sostegni: segni della difficoltà ma anche della volontà del maestro a cimentarsi con la rappresentazione del corpo umano. La stessa sensazione si ha nel rilievo di Adamo ed Eva. Anche in questo caso le figure dei progenitori paiono inserite quasi forzatamente nello spazio della lastra. Sicuramente l'impresa di Rapolla aveva posto all'artista problemi di composizione più complessi del portale di Pierno, che invece presenta un ornamentazione assai semplice con stelle, pomi, animali e testine umane scolpite ciascuna su singoli conci. Una plastica assai diversa da quella di Anglona (da cui molto probabilmente il portale di Pierno dipende) ed ancora più distante da quella di Acerenza, entrambe considerate dalla critica opere di Sarolo. Sicuramente lo scultore di Muro Lucano era a conoscenza di queste opere, probabilmente già allora assai note nel panorama artistico della regione. Accanto a questi modelli indubbio ci appare il legame con alcune opere della Capitanata. Tale conoscenza potrebbe essere avvenuta nel cantiere di Monticchio, dove, al contrario di quanto fino ad ora asserito dalla critica, solo in un paio di casi pare intravedersi la mano dell'artista lucano. Una lontana eco del romanico di Capitanata (Troia, Montesantangelo) pare intravedersi anche nella resa dei panneggi delle figure dell'Annunciazione, che l'artista traduce con un fare essenziale e quasi grottesco. Le pieghe del maphorion della Vergine diventano nell'interpretazione di Sarolo rigidi ed astratti triangoli che incorniciano il volto, al pari delle restanti pieghe del mantello di sapore quasi metallico. Il campanile terminato nel 1209 affiancava probabilmente una chiesa più piccola dell'attuale, di cui si è persa completamente la memoria. Attualmente, infatti, tale struttura è inglobata per due terzi nella navata laterale destra dell'edificio, ostruendole il passaggio e facendo perdere senso di unitarietà allo spazio. E’ lecito pensare che nel successivo progetto di ampliamento duecentesco ne fosse previsto l'abbattimento. Tale ipotesi potrebbe fornire anche un dato interessante relativo allo stato a cui giunsero i lavori della fabbrica in età manfrediana. Secondo una parte della critica la prima cattedrale della città sarebbe stata la vicina chiesetta di Santa Lucia, un edificio dell'XI secolo fortunatamente conservatosi quasi per intero nel suo aspetto originario. Non si può escludere, ma al momento non esistono elementi a favore o contro tale ipotesi la cui prova potrebbe forse trovarsi nella documentazione scritta. Un dato interessante, riportato dal Galli è quello relativo alla scoperta, nel corso dei restauri della chiesa di Santa Lucia, sotto l'altare, di una capsula marmorea ovoidale contenete alcuni frammenti di ossa umane. Sicuramente, dunque, il campanile progettato da Sarolo non era destinato alla chiesa che venne completata "nelle parti più alte" sotto il vescovo Giovanni nel 1253, come recita un'iscrizione sul portale maggiore, ad opera dello scultore Melchiorre da Montalbano. CUM QUINA DECIES SUNT MCC ET TRES COMPLETI POST PARTUM VIRGINIS ALME / PRESUL ISTUD OPUS PEREGIT CUM CURA IOHANNIS QUI RAPOLLANUS EST HIIS ANTISTES IN ANNIS PARTIBUS / ECCLESIE CUNCTIS EST ALTIOR ILLA DICTUM QUAM CEPIT SUPEREDIFICARE JOHANNES MUNERE PON / TIFICIS JAM PER TRIA LUSTRA POTITUS CLERICUS ANGLONIS ALBANO MONTE NUTRITUS MELCHIOR EST FABER OPERIS LAUDABILIS HUJUS. Melchiorre da Montalbano è un’artista noto e conosciuto, sul quale però, oltre che sulla paternità delle opere attribuitegli (soprattutto da Emile Bertaux), non è stato mai condotto uno studio approfondito. Dopo l'impresa di Rapolla il nome di Melchiorre ricompare un'altra volta, esattamente ventisei anni dopo (1279), sul pulpito della cattedrale di Teggiano, dove il clerico di Anglona si firma con la semplice qualifica di magister. Allo stesso artista sono stati attribuiti anche il portale della stessa chiesa ed i lavori di ristrutturazioni eseguiti dopo gli anni Settanta. In veste di protomagister Melchiorre comparirebbe, sempre secondo il Bertaux, nell'abbazia di San Guglielmo al Goleto. Altre opere assegnate allo scultore sono il candelabro pasquale di Bominaco, un capitello conservato ad Atella e due portali a Marsico Nuovo e Calvello questi ultimi veramente distanti dalla cultura espressa dal maestro tanto a Rapolla quanto a Teggiano. La formazione dell'artista sarebbe avvenuta nell'ambiente dei cantieri svevi pugliesi, soprattutto Castel del Monte. La forma del portale lucano riecheggerebbe, secondo la Calò Mariani, i portali a pian terreno del castello pugliese. Non estranea alla formazione di Melchiorre sarebbe, inoltre, l'esperienza maturata nel vicino cantiere di Lagopesole. Rispetto a quest'ultimo esempio, però, l'opera di Rapolla è caratterizzata da una maggiore sobrietà distante dal senso di vigoroso naturalismo che caratterizza la decorazione plastica delle mensole del castello lucano. Un certo impoverimento ed una certa improvvisazione emerge invece nei rilievi della lunetta a proposito dei quali lo stesso Bertaux riconosce "que l'architecte était un Italien". Indubbi sono i rapporti con i cantieri svevi pugliesi, piuttosto che con Lagopesole, oltre che con alcuni noti episodi cistercensi, come Fossanova e Casamari. Lo stesso Federico II, d'altro canto, aveva chiamato per lavorare nei cantieri imperiali maestranze cistercensi, come recita il noto passo della Cronaca di S. Maria de Ferraria. Un interessante dato circa l'attività di Melchiorre potrebbe emergere dall'analisi dei rapporti tra l'artista e la potente famiglia dei Sanseverino, giunta nel Mezzogiorno al seguito dei Normanni, che tra i tanti possedimenti feudali ebbe anche la città di Tursi. Ricordiamo che Roberto di Sanseverino fu, insieme a Carlo I d'Angiò, il principale finanziatore dei lavori della cattedrale di Teggiano. All'interno l'edificio di Rapolla conserva ancora esili tracce della fabbrica che, molto presumibilmente, costruì Melchiorre da Montalbano. La chiesa si presenta con un impianto a tre navate divise da pilastri di cui i primi quattro hanno forma ottagonale. I primi due sono attualmente inglobati nella facciata, che un tempo doveva quindi essere più avanzata. All'attività di Melchiorre sono attribuiti i due imponenti pilastri cruciformi con otto colonnine incastrate ed i semipilastri corrispondenti nelle navate laterali. Le campate successive sono frutto di un intervento trecentesco, come si apprende da un'iscrizione murata sul lato sinistro della facciata: HOC OPUS FIERI FECIT CU(M) TOTO CHORO / PULPITO D(OMI)N(U)S FRAT(RES) PETRUS D(E) CATALONIA VE(NERABILIS) HE(PISCOPIS) / RAPOLL(ENSIS) MITISSIM(US) Q(UOQUE) PI(US) ANNO D(OMINI) MCCC... L'arcivescovo Pietro di Catalogna, famigliare e confessore di re Roberto d'Angiò, nono arcivescovo della serie dell'Ughelli, ampliò, secondo il Bertaux, di una nuova campata l'edificio duecentesco con l'inserzione di altre due absidi. Bisogna osservare che il motivo a zig zag che occupa la parte superiore della epigrafe ricorre anche su uno dei pilastri ottagoni della chiesa, segno probabilmente di un ulteriore intervento sulla fabbrica trecentesca di cui si è persa memoria. Allo stato attuale una traccia di questi lavori può intravedersi nella volta dell'abside laterale destra, in seguito riadattata a sacrestia della chiesa. Tale destinazione d'uso venne suggerita dalla presenza del campanile di Sarolo, inglobato nella navata duecentesca, all'altezza della quarta campata. Ad un altro edificio (forse il palazzo vescovile?), potrebbe invece appartenere la cappella che si apre nella navata laterale sinistra, all'altezza della prima campata, orientata in senso inverso. E difficile che dopo tante distruzioni un' indagine archeologica possa dare risposte circa la presenza di un precedente edificio di culto. Bisogna sottolineare che uno dei motivi della estrema fragilità statica dell'edificio risiede nella presenza di una serie di ambienti ipogeici scavati per uso domestico, come riferisce il Galli, sotto l'attuale edificio, colmati nei restauri degli anni '30 per rendere più solida la struttura. Una scelta infelice, dunque, quella del sito su cui edificare la chiesa, che potrebbe anche spiegare la mancata realizzazione del progetto duecentesco. Forti elementi di dubbio circa l'intervento di Melchiorre risiedono anche nel dato, ricavabile dall'iscrizione, che sotto il vescovo Giovanni vennero portate a termine le parti più alte dell'edificio. Sicuramente gli imponenti pilastri a fascio lasciano intravedere un progetto grandioso, poco consono alla natura del suolo. Le campate nella navata centrale, su modulo quadrato, dovevano essere coperte da crociere costolonate, al pari di quelle laterali. Attualmente tutto il lato sinistro dell'edificio, compresa la decorazione plastica è frutto di restauro. Quanto ai modelli architettonici i pilastri a fascio di Rapolla si ispirano ai pilastri della Incompiuta di Venosa. Tale confronto, già avanzato dalla Wagner Rieger, porta la studiosa ad ipotizzare una influenza francese, spiegabile solo attraverso l'adozione del modello venosino piuttosto che per la diretta conoscenza da parte delle maestranze lucane di opere gotiche d'Oltralpe. In realtà ad una attenta osservazione l'edificio ha ancora un forte sapore romanico, soprattutto nella plastica decorativa, non interamente ascrivibile all'attività di Melchiorre. Molto interessanti, soprattutto da un punto di vista iconografico sono i motivi scolpiti sul pilastro a fascio del lato destro della navata centrale e quelli del pilastro corrispondente nella navata laterale. Nel pilastro della navata centrale mentre sul lato nord compaiono i consueti ornamenti vegetali a crochets, sugli altri lati spuntano tra le foglie teste di leoncini e sul lato sud, in successione, una testa di ariete, una figura barbuta sputaracemi ed una figuretta intera con un libro tra le mani. Sul semipilastro corrispondente si hanno in successione, a partire da est, un felino, un'altra figuretta uguale alla prima, una testa femminile con un diadema tra i capelli ed un velo che le incornicia il volto, un uomo barbuto che stringe tra le labbra una catena, un moro, un orso, un pipistrello, un cobra, un aquila ed un elefante. Si tratta di simboli allusivi al male su cui converrà ritornare in altra sede. Ciò che invece è importante sottolineare è che se alcuni di questi soggetti, come il moro, la testina sputaracemi e le due figurette si incontrano frequentemente nella plastica duecentesca la cultura espressa da queste opere appartiene ancora a pieno diritto al mondo romanico. Colpiscono, in modo particolare, le figure dei felini che richiamano in modo quasi inequivocabili le analoghe raffigurazioni venosine. Tra le numerose sorprese che l'edificio riserva vi è, infine, da un’altra iscrizione murata sulla parete destra della facciata, finora sfuggita alla critica. Il testo è il seguente: SACRO S(AN)C(T)E CRUCI AGNEO / SACRE VIRGINIS ROFFREDUS EP(ISCOPU)S / DESU(M)PTU PECULIARI PRESULATUS SUI A(NNO) XIIII. Si tratta, ancora una volta, di un vescovo sconosciuto, Roffredo, che a sue spese nel quattordicesimo anno del suo presulato consacrò l'edificio. Di un Roffredus dà notizia Giustino Fortunato pubblicando il testo di un'epigrafe murata nella parete destra della chiesa di San Michele a Monticchio dove si farebbe riferimento alla sepoltura del vescovo Giovanni, nativo di Troia, ad opera del fratello di costui, Roffredo. Il problema è che quest'ultimo nome non compare nell'iscrizione di Monticchio bensì in una iscrizione del 1902 dipinta nell'episcopio di Melfi che fa riferimento a questa sepoltura.





TOLVE CHIESA DI SAN PIETRO

Vicino alla chiesa di S. Nicola, c'è la Chiesa di San Pietro, fondata dai monaci benedettini nella seconda metà dell XI secolo e dedicata al santo nella seconda metà del Cinquecento. L'imponente portale romanico in pietra è stato attribuito alla scuola di Melchiorre da Montalbano (fine del XIII secolo), mentre il sopralzo decorato è datato 1546. Nell interno conserva, sull altare maggiore di legno, il dipinto su tela Immacolata, Santi, Angeli del XVII secolo. Da notare sulla parete sinistra, in una nicchia, la scultura lapidea medioevale Madonna con Bambino.





MIGLIONICO

La chiesa di Santa Maria Maggiore è la chiesa madre di Miglionico. Inizialmente avevo solo due piani: una cella campanaria con tre campane. Rovinato da terremoti fui ricostruito, su ordine del vescovo di Acerenza da Melchiorre da Montalbano. Questi demolì la cella campanaria, aggiunse un terzo piano con una cella campanaria più ampia con sette campane e una cuspide alta otto metri con una bandierina al vento. Il portale d'ingresso intagliato nella pietra è attribuito all'artista Nicola da Melissano e rievoca il primitivo impianto della chiesa. Sul lato sinistro della chiesa il portale laterale barocco è sormontato da una lunetta che custodisce una raffigurazione in pietra della Pietà, opera di Altobello Persio.



CALVELLO

Calvello: Portale, chiesa s. Maria del Piano: questa è d’impianto romanico e ha la facciata in pietra viva a vista. Il portale principale proviene dalla bottega di Melchiorre da Montalbano.





MARSICO NUOVO

Marsico Nuovo, Chiesa di S. Gianuario.

Costruita nei secoli XI-XVIII, mostra l’affascinante portale del XII secolo, realizzato da Melchiorre da Montalbano, autore anche di quattro capitelli su colonne rastremate ubicate nell’interno, che reggono una cantoria del Settecento. La chiesa e' stata invece edificata sul vecchio tempio pagano dedicato al dio Serapide, forse nell'anno 853. Ha inizialmente il titolo di "Santo Stefano", lo stesso dell'annesso monastero benedettino, abbattuto nel 1591. Nell'anno 1000 qui collocato il corpo di S. Gianuario, vescovo di Cartagine martirizzato nel III secolo col taglio della testa. Il ritrovamento avviene grazie al sogno fatto da Susanna, una pia donna, la quale indica a Grimaldo, vescovo di Marsico, il luogo di sepoltura del corpo del santo presso Potenza. Tale luogo, di proprietà del Convento di Santo Stefano, l'abate pretende ed ottiene dal vescovo di Potenza la consegna di quel corpo e lo sistema nella sua chiesa, alle porte del paese. Il conte normanno Reinalt Malconvenient la fa ricostruire (1077) ma essa subisce seri danni col saccheggio inflitto nel 1502 dagli Spagnoli, i quali trasportano in Spagna il corpo del santo protettore. La ricostruzione della fabbrica inizia nel 1591 recuperando alcune parti dell'antica chiesa medievale. Nella parte alta della porta sono narrati gli antefatti della storia del Santo: lo sbarco della nave proveniente da Cartagine, la cattura da parte dei soldati romani (anta sinistra), il miracoloso rinvenimento del corpo dopo cinque secoli e il trasporto con le due giovenche che si arrestano per poi crollare morte accanto ai ruderi di un tempio romano dove poi verrà costruita la chiesa (anta destra). Nella parte inferiore, a sinistra, Leonzio, il carnefice che brandisce la spada; a destra, Gianuario che protegge un giovane che tiene in mano il libro della "testimonianza". Da un lato la violenta scena del martirio e dall'altro l'immagine perenne del vescovo protettore delle giovani generazioni. Di Melchiorre da Montalbano e bottega sono la Stipite e le colonnine del Portale, scultura lapidea realizzate nel XIII secolo. Lo scultore Antonio Masini ha invece realizzato in bronzo la Porta della Chiesa di S. Gianuario nel 1999. La porta bronzea illustra la storia di San Gianuario, patrono del paese.



Marsico nuovo - Chiesa di San Michele Arcangelo

Con facciata romanica e affiancata da un campanile del '700. Degno di nota è il portale in pietra del XIII secolo realizzato dalla bottega di Melchiorre di Montalbano. Fu la prima cattedrale di Marsiconuovo, come attestano alcuni manoscritti. Mostra sulla facciata romanica, affiancata dal settecentesco campanile a capanna. Nell’interno si nota un controsoffitto a cassettoni, il prezioso Battistero per immersione del XIII secolo in pietra e resti d’affreschi dell’ex zona absidale.





ANGLONA (presso TURSI).
Santuario di Santa Maria Regina di Anglona (Facciata, campanile e lato sinistro).

Il santuario di Santa Maria Regina di Anglona è un antico santuario mariano situato sul sacro colle di Anglona, nel comune lucano di Tursi, in provincia di Matera. Il santuario si trova su di un colle a 263 m s.l.m., domina la vallata sottostante tra i fiumi Agri e Sinni. È a metà percorso della strada provinciale che va da Tursi a Policoro. Nel 1976 diventa sede titolare della diocesi di Tursi-Lagonegro. Dal 1931 è monumento nazionale. Il 17 maggio 1999 il santuario è stato elevato alla dignità di pontificia basilica minore da papa Giovanni Paolo II, a ricordo del sinodo dei vescovi. Il santuario è tutto quello che resta dell'antica città di Anglona. La cattedrale è sorta tra l'XI e il XII secolo come ampliamento di una antica chiesetta, risalente al VII-VIII secolo, corrispondente all’odierna cappella oratorio. Nella sua sede vescovile il 20 novembre 1092 sostò papa Urbano II. A seguito di non ben chiari eventi, la parete nord della cattedrale crollò e andarono perduti gli affreschi che l'adornavano. Nel 1369 la città di Anglona subì un violento attacco e solo la cattedrale, dedicata alla Natività di Maria, venne risparmiata dalle fiamme. Nel 1543, con la bolla di papa Paolo III, l'originaria diocesi di Anglona cambiò nome in diocesi di Anglona-Tursi. Nel 1976 la diocesi divenne di Tursi-Lagonegro, Anglona venne soppressa e le fu affidata la denominazione di diocesi titolare che conserva tuttora e le fu anche assegnato un vescovo titolare. Fino agli anni cinquanta il colle era frequentato da contadini, pastori e gente del luogo che utilizzavano i locali esterni al santuario come alloggio, rifugio, deposito e persino come stalle. Il luogo era gremito di gente soltanto nei giorni di festa. Successivamente, dopo gli scavi archeologici nella zona, le attenzioni della soprintendenza dei beni culturali aumentarono e con esso il flusso di pellegrini, studiosi e visitatori. La struttura attuale del santuario, datata tra l'XI secolo ed il XII secolo, è l'ampliamento di una prima chiesetta, del VII-VIII secolo. La costruzione, in tufo e travertino, presenta elementi architettonici di notevole importanza quali, l'abside, il campanile e il portale in stile romanico. L'esterno absidale è sicuramente la parte più cromatica e più raffinata dell'intero edificio, si ammirano ornamenti ad intagli, archetti pensili, lesene e un finestrone centrale adornato. Sulle pareti esterne numerose formelle con figure di animali a rilievo, di provenienza ignota, creano un effetto davvero suggestivo. Il tetto a più falde e l'armonia dei volumi, conferiscono al santuario un aspetto piacevole ed imponente. Il portale in stile romanico è formato da un'arcata a tutto sesto arricchita da intagli e rilievi. Anche sul fronte del portale si trovano formelle di tufo calcareo con bassorilievi che raffigurano i simboli dei quattro evangelisti, Marco il leone, Luca il bue, Giovanni l'aquila, Matteo l'angelo. A sinistra della facciata spicca il campanile anch'esso in stile romanico, di forma quadrangolare, poco slanciato e in cima adornato da quattro bifore. La chiesa è a croce latina e dispone di tre navate, la centrale larga e molto alta, mentre le due navate esterne, strette e basse. In origine il santuario era ricco di pregevoli affreschi che raffiguravano episodi del vecchio e nuovo Testamento, sulle colonne sono tuttora presenti figure di Santi. I recenti restauri stanno riportando alla luce affreschi ormai quasi perduti. Sulla parete destra della navata centrale sono ben visibili scene del vecchio testamento. Oggi sulle pareti si possono ammirare il martirio di San Simone, la Torre di Babele, la creazione dell'Eden con Adamo ed Eva, l'uccisione di Abele e molte altre scene bibliche. Sui pilastri sono dipinte le figure di Santa Lucia, San Leonardo, San Vito Martire, San Rocco e San Giovanni Battista. Nel XIII secolo è stato ampliato l'abside, ad opera di Melchiorre da Montalbano che fu chierico di Anglona. Risalgono al XV secolo invece il rifacimento dell'ala sinistra e la ricostruzione dell'episcopio. Un'antica leggenda narra di un giovane pastorello che, mentre pascolava il suo gregge sulla sommità della collina "Variante", a metà strada tra Tursi ed Anglona, vide avvicinarsi una "bellissima Signora", che gli chiese di recarsi in paese, per invitare gli abitanti del luogo ad andarLa a prendere. La gente prima incredula, poi sempre più curiosa si dirige sulla sommità della collina dove ritrova la statua della Madonna e la riporta nel suo santuario. Nel luogo del ritrovamento fu costruito un capitello votivo in mattoni e, a ricordo dell'avvenimento, vi fu posta una croce in legno. Da allora tutti gli anni, l'ultima domenica di aprile, la Madonna viene portata a spalle per un percorso di oltre 10 km, dal santuario alla cattedrale di Tursi. La statua che oggi si venera è stata realizzata alla fine del Settecento su incarico del vescovo Salvatore Vecchioni e raffigura la Madonna in posizione frontale, seduta sul trono, che tiene sul braccio sinistro il Bambino Gesù. La mano destra della Vergine è protesa in avanti e stringe uno scettro d'argento. La Madonna veste una tunica rosa e un manto celeste ed è ricoperta da un velo celeste decorato con stelle e bordi dorati. Gesù Bambino è vestito di bianco e benedice con la mano destra, mentre con la mano sinistra regge un globo terrestre d'oro sormontato da una croce. Il 19 maggio 1901, la Vergine Maria venne incoronata "Regina di Anglona" dal vescovo Carmelo Pujia. Nel 1946 la Madonna di Anglona venne proclamata Patrona massima di Tursi e di tutta la diocesi. Il 1951, nella ricorrenza del cinquantesimo anno dall'incoronazione, il vescovo Pasquale Quaremba ricordò l'avvenimento con solenni festeggiamenti e pellegrinaggi in tutti i paesi della diocesi, donò, inoltre, il nome della Madonna alla piazza che era in costruzione, da allora fu denominata "Piazza Maria Santissima di Anglona", attuale centro città di Tursi. Il pellegrinaggio della statua tra i paesi della diocesi venne ripetuto anche nel 1983. L'8 settembre 2001 ricorreva il centenario dell'incoronazione della Regina di Anglona e molti furono i fedeli accorsi da ogni parte della diocesi, presso il santuario, dove su di un grande palco il cardinale Michele Giordano, alla presenza di mons. Francesco Cuccarese e dei vescovi Francescantonio Nolè, Rocco Talucci e Vincenzo Franco, ripose le corone, ristrutturate per l'occasione, sulla testa del Bambino e della Madonna. Un grande afflusso di fedeli, oltre diecimila, festeggiò l'avvenimento sul colle. Tutti gli anni, dall'1 all'8 settembre, si svolgono sul colle di Anglona funzioni religiose, concerti musicali e fiere di ogni genere. Il giorno otto è il giorno dedicato alla Madonna, sul colle accorrono migliaia di fedeli da ogni parte della diocesi, per festeggiarla con messe solenni, veglie di preghiera, canti, fuochi di artificio e processioni. Molti tursitani emigrati tornano dai paesi più lontani per essere presenti e partecipare alla festa più sentita dal popolo della diocesi, il quale manifesta la devozione alla Vergine con atti votivi ed usanze di origine antica.





TEGGIANO

Teggiano è un comune italiano di 8.244 abitanti della provincia di Salerno in Campania. La Cattedrale di Santa Maria Maggiore a Teggiano: di pregevole fattura sono il portale principale ricco ed elaborato attribuito a Melchiorre nel XIII sec. e all'interno il pulpito (primo rarissimo esempio in Italia di scultura firmata) scolpito da Melchiorre da Montalbano, datato 1271. La chiesa di Santa Maria Maggiore è la cattedrale della diocesi di Teggiano-Policastro L'attuale chiesa cattedrale risale alla seconda metà del XIII secolo, consacrata il 12 agosto 1274, ed edificata per volere di Carlo D'Angiò con impianto gotico. Rimaneggiata diverse volte nel corso dei secoli, subì un'importante modifica dopo il terremoto del 1857, in concomitanza con l'erezione di Teggiano a diocesi (21 settembre 1850) e la beatificazione di San Cono: infatti in questa occasione fu invertito l'orientamento dell'edificio originario, la cui primitiva facciata era preceduta da un portico con campanile e battistero, e fu ingrandita la chiesa con l'edificazione ex novo del transetto, della zona presbiteriale e della sacrestia. Nel realizzare i lavori si colse l'occasione per invertire anche l'ingresso che dalla piazza fu spostato nel vicolo opposto. Nel Medio Evo l'ingresso principale era sulla piazza, preceduto da un porticato a tre archi, affiancato dal campanile, staccato, e con il Battistero di San Giovanni di fronte (questa struttura è tipica, basti pensare al duomo di Firenze o di Pisa). L'entrata principale, secondo l'attuale prospetto, è diametralmente opposta a quella antica: si entrava nel tempio da un portico situato sull'attuale via Roma. Fu in seguito a quell'incauto rifacimento che perse la sua struttura gotica. Il portale maggiore è opera dello scultore ed architetto Melchiorre da Montalbano che, essendo stato allievo di Bartolomeo da Foggia ed avendo lavorato per molto tempo a contatto con le maestranze pugliesi, diede al portale la sagoma tipica di quelli pugliesi: impostazione con stipiti formati da un gruppo di agili colonnine corinzie e da un architrave piano, ornato di fogliame semplice e sormontato da un arco a tutto sesto, chiuso in un frontone triangolare. Il portale laterale, del 1508, la cui realizzazione si attribuisce a Francesco da Sicignano ricalca, nella simmetria ed in alcune forme, quello principale. La facciata esterna prospiciente via Roma è ornata da quattro edicole funerarie , un Cavaspina e due colonne sormontate da un capitello, risalenti anch'esse all'epoca romana. All'interno: - il pulpito (primo rarissimo esempio in Italia di scultura firmata) scolpito da Melchiorre da Montalbano, datato 1271. L'opera scultorea artisticamente più interessante, conservata nella cattedrale è l'ambone di Melchiorre da Montalbano, datato 1271 ed autografato dallo stesso, così come si legge sui bordi del prospetto laterale. Vi è l'iscrizione che conferma la paternità del manufatto architettonico e scultoreo: A. M. CC. L. XXI. XV. ID /MAGISTER MELCHIOR FECIT HOC OPUS che si rifà a esempi legati all'arte federiciana, a Nicola e a Giovanni Pisano in particolare. Si suppone che Melchiorre avesse frequentato le maestranze presenti nel cantiere federiciano del castello di Lagopesole, nei lavori di ristrutturazione voluti da Manfredi, figlio di Federico II. Eseguito in stile tardo-romanico con richiami orientaleggianti, è sorretto da quattro colonne con capitello di diverso disegno. Tutta l'opera, realizzata in pietra di Teggiano, su quattro colonne sormontate da quattro capitelli e da due archi trilobati, ha un significato allegorico: partendo dall'alto in bassorilievo troviamo i simboli dei quattro evangelisti (Marco, Matteo, Giovanni e Luca), al di sotto, scolpiti nei triangoli, il cervo (raffigurante l'uomo non ancora convertito) poi il leone (raffigurante l'uomo forte e potente perchè cristiano) poi Mosè che indica Eva. Nella figura centrale vi è una quinta colonna tortile che ha come base una schiena di leone, simbolo della Chiesa cattolica che poggia su Cristo, sormontata da un gruppo scultoreo allegorico raffigurante la quotidiana lotta tra il bene e il male con il guerriero (il bene) che con sforzo difende la lepre (l'uomo) dall'aquila (il male). L'attuale campanile è opera moderna d'inizio Novecento.