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Storia della Basilicata: due eccidi nazisti in Basilicata

Storia della Basilicata: due eccidi nazisti in Basilicata.

Nel settembre del 1943, nel caos che segue l'armistizio, a Matera e a Rionero in Vulture le truppe tedesche si rendono protagoniste di rappresaglie nei confronti della popolazione civile. Il bilancio finale sarà di 37 vittime. Ricostruire le vicende degli eccidi di Matera e Rionero in Vulture nel 1943 significa, innanzitutto, per poterli meglio comprendere, collocarli all'interno della situazione della Basilicata all'indomani dell'8 settembre, giorno dell'armistizio con gli Alleati. Proprio in quella serata di fine estate anche i lucani apprendono dalla radio l'annuncio dell'armistizio. La notizia del proclama di Badoglio fa velocemente il giro di tutti i paesi della Lucania mentre la popolazione manifesta la propria gioia e i propri dubbi sul futuro, volgendo il pensiero ai tanti cari che stanno per tornare a casa. I tanti lucani sotto le armi, infatti, dopo essere stati messi di fatto in libertà dai propri comandanti, si apprestano a compiere il lungo viaggio di ritorno, spesso senza mezzi, a piedi, ed evitando di percorrere le strade per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi in ritirata. Potenza, nei giorni 8 e 9 settembre, subisce un duro bombardamento aereo ad opera delle forze alleate, con morti e feriti. La guerra continua ad avvicinarsi sempre più. I bombardamenti alleati colpiscono Pisticci, la ferrovia Foggia-Potenza, Maratea, Lauria, la stazione ferroviaria di Metaponto, Nemoli. Viene anche mitragliato, tra lo scalo ferroviario di Grassano e quello di Grottole, un treno proveniente da Napoli e diretto a Taranto. La situazione economica è intanto peggiorata. I centri rurali, ma anche gli stessi capoluoghi Potenza e Matera, sono ormai chiusi in una povera autarchia alimentare. I prezzi sono alle stelle per la rarità delle merci e le difficoltà dei trasporti, la speculazione e il contrabbando imperversano. Oltre a Potenza anche Matera viene occupata. Fra il 10 ed il 20 settembre le truppe tedesche incendiano carri e littorine delle ferrovie calabro-lucane e distruggono il deposito ferroviario. Il 18 settembre si ha un assalto dei magazzini materani da parte di contadini e braccianti, che vengono facilmente dispersi dai tedeschi. Il Palazzo della Milizia viene trasformato in prigione nella quale vengono rinchiusi 12 ostaggi, la maggior parte militari sbandati. Un reparto della VII Armata era riuscito a sfuggire però ai rastrellamenti ed era rimasto agli ordini di un sottotenente di complemento di Matera, Francesco Nitti, che nel dopoguerra racconterà i fatti cui prese parte. Il 20 settembre le truppe germaniche lasciano la città: restano soltanto pochi tedeschi con tre camionette. Nel pomeriggio del giorno successivo si sparge la voce gli ultimi occupanti stanno per andare via ma ecco che avviene l'irreparabile. Due tedeschi si recano nella gioielleria della signora Michelina Caione, in via San Biagio, e si fanno consegnare anelli e altri oggetti. A questo punto intervengono alcuni militari italiani al comando del capitano Cozzella il quale chiede loro cosa intendano fare dei preziosi. I tedeschi rispondono che hanno intenzione di portarli via per "ricordo", senza dare credito al tentativo dell'ufficiale italiano di convincerli a lasciare perdere dicendo che non si tratta di oggetti d'oro. Mentre i militari germanici si innervosiscono sempre di più anche a causa della presenza nel negozio di ben 11 uomini, oltre le due donne, i militari italiani aprono il fuoco. Uno dei due tedeschi cade subito al suolo ma l'altro riesce a impugnare la pistola mitragliatrice e a sparare due colpi che, però, non giungono a segno. Pur ferito, il militare germanico riesce ad uscire dal negozio ma, colpito dall'esplosione di una bomba a mano lanciatagli contro, muore subito dopo. A questo punto i soldati italiani cercano di nascondere il corpo del tedesco finito sulla strada, trascinandolo giù per una ripida scalinata, ma vengono visti da due commilitoni dell'ucciso che provvedono a dare l'allarme. Parte la rappresaglia. Le camionette germaniche percorrono le strade principali mitragliando su cose e persone: otto civili perdono la vita. E' l'inizio dei combattimenti in città, cui partecipano numerosi contadini, artigiani, professionisti, finanzieri, agenti di P.S., gente di ogni ceto e di ogni mestiere. Così il racconto di Nitti: «Si sparò nella piazza centrale dal magazzino vestiario della finanza e dal tetto della piccola Chiesa Mater Dei su cui si era inerpicato il contadino Di Cuia con altri due, si sparò dalle finestre di alcune case di Via Nazionale sulla colonna tedesca in ritirata; si sparò dalla Prefettura. Un gruppo di agenti di P.S., scavalcando alcuni muri di cinta e facendosi una breccia nel muro dell'edificio delle carceri, riuscirono a spostarsi di fronte ai giardini pubblici dov'erano tedeschi con mitragliatrici; un ragazzo del Sasso, con gravissimo pericolo di vita, riuscì a penetrare nella Questura dove si fece riempire le tasche e un fazzoletto di munizioni per pistole automatiche, che portò ai militari della Sottozona nel rione San Biagio. Il parroco di San Giovanni Battista, Monsignor Marcello Morelli, era uscito sulla piazzetta antistante alla Chiesa e di lì rincuorava militari e civili che accorrevano ai posti dove si combatteva». Al Rione San Biagio, intanto, presso la sede della società idroelettrica, viene fatta saltare la cabina elettrica e fucilati i tecnici che avevano cercato di impedirlo. Ricorda Nitti: «. numerosi altri tedeschi erano corsi poco dopo le ore 17 alla sede della Società Lucana di Elettricità, con l'evidente proposito di distruggere la cabina elettrica. Aperta violentemente la porta gridarono agli impiegati, agli operai, ai due ingegneri di uscire; e poiché qui erano le abitazioni del personale di servizio, anche i familiari furono spinti sulla strada. Uno degli operai si nascose tra le macchine. Quando tutti furono usciti dai locali, mentre alcuni guastatori provvedevano in tutta fretta alla posa di due mine nella sala macchine, gli altri, con improvviso e violento fuoco di mitragliatrici e fucili mitragliatori, uccidevano l'ingegnere Raoul Papini, Pasquale Zicarelli impiegato e Michele Frangione studente diciannovenne, figlio di Salvatore Frangione, impiegato della Società. L'ingegnere Mirko Cairola e Salvatore Frangione furono gravemente feriti; quest'ultimo decedette poi presso l'Ospedale. La signora Maria Di Nava, moglie dell'ing. Cairola, si salvò gettandosi a terra». I tedeschi si ritirano, asserragliandosi nella caserma della milizia. Verso sera accettano la resa, preoccupati di sfuggire alle truppe della VIII Armata alleata che stanno arrivando da Montescaglioso, montano sulle camionette e si allontanano mentre salta per aria il Palazzo della Milizia: 11 ostaggi muoiono sotto le macerie che insieme alle altre 10 vittime degli scontri danno il totale del sangue materano versato. La mattina del giorno successivo, il 22 settembre, i primi reparti di truppe canadesi entrano in città. Sul punto in cui si ergeva il Palazzo della Milizia i materani posero un cippo a perenne memoria, così come la lapide sulla facciata del Palazzo di Governo ricorda quei giorni in cui Matera diventò la prima città italiana che si ribellò ai tedeschi, meritando la medaglia d'argento al valore civile della Resistenza. Sulla lapide vi è scritto: "Nel tragico giorno 21-IX-1943 mentre i tedeschi devastatori compivano orrenda strage di ostaggi innocenti il popolo materano sorto in armi cacciava il feroce nemico e col sacrificio di suoi animosi figli si ridonava alla libertà. Monito agli oppressori incitamento agli oppressi". Il 21 settembre del 1943 ha segnato, per la storia materana, la cacciata dei tedeschi dalla città. Questa data ha registrato il sacrificio di tanti cittadini materani che, con la ribellione, ottennero pur con la morte la libertà dagli oppressori. Il popolo materano non riusciva più a sopportare l’umiliazione fisica e morale per le angherie che esercitavano gli uomini del regime fascista e i suoi alleati. Così che i cittadini materani, pur vivendo in case costituite da tuguri umidi e privi di servizi igienici situate nei Sassi, trovarono la forza e il coraggio per reagire contro chi li opprimeva. Essi non si sono ribellati ai tedeschi in quanto tali, ma a tutto ciò che li rappresentavano e che esercitavano con prepotenza e arroganza. Il grido unanime fu “Via i tedeschi da Matera”. Il risultato ottenuto fu grandioso, però il costo fu altissimo proprio per la uccisione di molte persone sacrificate al bene comune. La consegna della medaglia d’Argento al Valor Militare avvenuta il 1° Settembre 1966, permise a Matera di essere riconosciuta come una delle prime città d’Italia a insorgere contro i nazisti. Infatti fu proprio la popolazione civile a non sopportare l’ oppressione nazista, tanto che la lotta da tempo iniziata finì per esasperarsi alla caduta del regime fascista, quando i tedeschi incominciarono la ritirata in contemporanea all’arrivo degli alleati. Nei giorni precedenti il 21 settembre del 1943, molti cittadini furono uccisi combattendo, altri invece solo per il vago sospetto di essere antifascisti. Le rappresaglie da parte del regime crearono una grande amarezza nella città che continua a persistere ancora oggi, dovuta al non riconoscimento del sacrificio fatto dalla città e alla mancata consegna della Medaglia d’Oro. Il cittadino materano, umile nella sua indole, si è sempre accontentato della consegna della medaglia d’argento al valor militare, ma proprio per sottolineare che la liberazione è avvenuta soprattutto grazie al coraggio dei civili, il riconoscimento è giusto che sia Civile e Militare. Ogni anno in questa data viene commemorata la liberazione dall’oppressione Nazista della città di Matera. Sempre viene pronunciato il consueto discorso del I° Cittadino, viene deposta la corona di alloro al Monumento ai caduti in Piazza Vittorio Veneto e al Monumento sito in Via lucana dov’era situato il Palazzo della Milizia, il tutto accompagnato dalla banda musicale e dalla sfilata dei reduci di guerra; tutto ciò a ricordo di quel periodo cupo della storia Italiana e materana. I sacrifici dei cittadini materani, morti per la libertà, sono rimasti nell’oblio tanto che i giovani e i bambini non conoscono l’evoluzione dei fatti e il triste epilogo di quelle giornate. Matera è sta la prima città del Mezzogiorno a insorgere contro i tedeschi, e ciò avrebbe dovuto segnare il periodo successivo della città; non dimenticando tutti coloro che, pagando con la propria vita, hanno ridato al popolo materano la propria dignità. L’insurrezione a Matera iniziò quando il regime fascista cadde e il 25 Luglio 1943 il Generale Badoglio, in seguito alla dimissione di Mussolini, firmò l’armistizio, in cui si stabilì il ritiro dell’Italia dalla guerra e la resa totale agli alleati Anglo-Americani. I tedeschi intesero ciò come un tradimento da parte dell’Italia, per cui incominciarono la ritirata saccheggiando le attività che incontravano sul loro cammino e derubando i cittadini di tutti i loro averi. Dopo l’armistizio, il palazzo della Milizia, ubicato, in Via Lucana, nei pressi del Rione Cappuccini, fu abbandonato dai fascisti e venne occupato dai nazisti. Di fronte a tanti soprusi i materani chiedevano aiuto e protezione alle forze militari italiane che, spesso, erano sorvegliate dalle truppe tedesche. L’Ufficiale Nitti riuscì comunque a nascondere le armi e munizioni e a consegnarle ai rivoltosi. Nella settimana precedente al 21 Settembre, l’atmosfera diventò ancora più tesa e, mentre i cittadini si organizzavano e si armavano con l’appoggio dei militari italiani, i tedeschi incendiavano e saccheggiavano tutto per ostacolare l’avanzata da parte degli alleati. Il loro scopo era quello di colpire soprattutto le stazioni ferroviarie e i relativi mezzi di trasporto, i ponti e le strade principali. Il 18 settembre segnò l’inizio della cattura di soldati italiani seguita dalla cattura di altri il 20 Settembre, di cui cinque civili e cinque militari. Il 21 Settembre toccò a due soldati italiani Natale Farina e Pietrantonio Tataranni, anche loro condotti nel palazzo della Milizia. Nel pomeriggio dello stesso giorno due finanzieri, in Via San Biagio, si imbatterono, presso la gioielleria di Caione, in due militari tedeschi che poco prima avevano saccheggiato il negozio; nello scontro persero la vita i due tedeschi. I materani cercarono di nascondere i cadaveri trasportandoli prima sotto l’arco di Via Rosario e, successivamente, in una scalinata detta “La Scaricata”. Alcuni tedeschi, allarmati da questo strano movimento, scoprirono quanto accaduto e corsero ad allertare il loro comando. Nel contempo giunse in quella strada anche Emanuele Manicone che, armato, contribuì alla liberazione della città pagando con la propria vita. Il padre di Natale Farina, Francesco detto “Il Siciliano”, alla notizia della cattura del figlio si diresse alla Milizia per cercare di liberarlo, ma invano, infatti anche lui fu arrestato. La stessa sorte toccò a Vincenzo Luisi, di sedici anni, che si era recato in piazza incuriosito dal fragore degli spari. Il Sottotenente Nitti radunò tutti, sia militari che civili, li armò e li dislocò in parti strategiche di Via San Biagio a proteggere il Comando di Sottozona della Finanza. Ecco allora che i tedeschi, giunti in Piazza Vittorio Emanuele, incominciarono a colpire la zona protetta dai materani che a loro volta, posizionati sui tetti delle case e della Chiesa Materdomini, risposero al fuoco. Durante lo scontro a fuoco persero la vita: Eustachio Guida, Francesco Paolo Loperfido, Antonio Lamacchia, Eustachio Paradiso ma anche numerosi tedeschi. Alcuni finanzieri e Emanuele Manicone si diressero verso la Caserma di Finanza di Via Capelluti, dove ci fu uno scontro a fuoco con altri militari tedeschi in cui morirono il finanziere Vincenzo Rutigliano e Emanuele Manicone. Oggi il Finanziere Vincenzo Rutigliano è ricordato dalla intestazione della Caserma della Finanza di Matera. I tedeschi corsero verso il palazzo della Società Elettrica per sabotare con le mine l’impianto di distribuzione elettrica della città e lasciarla al buio; fecero uscire dallo stabile tutti i dipendenti con le loro famiglie indirizzando su di loro il fuoco e colpendo a morte l’ing. Raoul Papini, Pasquale Zigarelli, Michele e Salvatore Frangione, l’ing. Mirko Cairola, mentre altri rimasero feriti gravemente. Nel tardo pomeriggio altri tedeschi presero di mira, indirizzando colpi di cannone, l’abitazione del farmacista Raffaele Benedenti pensando che quella fosse la Caserma della Finanza; lo stesso perse la vita. Prima della ritirata i tedeschi pensarono di far saltare in aria anche il Palazzo della Milizia con tutti coloro che erano stati imprigionati ingiustamente. Il caso volle che solo un prigioniero si salvasse dall’esplosione riportando gravi ustioni. L’eccidio è ricordato dalla lapide eretta nel luogo dove era ubicato il Palazzo della Milizia il 21 Settembre 2005. A ricordo degli avvenimenti suddetti sono state affisse altre lapidi: una posta sulla facciata laterale del Palazzo del Governo il 21 Settembre del 1944, un’altra sulla parte frontale del Palazzo della Società Elettrica il 21 Settembre 2003, l’altra ancora in Via Capelluti a lato del Palazzo della Camera di Commercio il 21 Settembre 2008. Il Comune di Matera ha ricordato quei giorni di ribellione, culminati con la fuga dei tedeschi dalla città, con un monumento situato davanti al Palazzo Comunale. Il monumento, composto da sei sculture bronzee eseguite dal pittore scultore V. Basaglia, ricordano gli epiloghi avuti durante la Resistenza e le caratteristiche del popolo contadino materano.


VIDEO: Matera, 21 settembre 1943 (Autore: MrHyperbros).

Dalla cronaca alla storia è il titolo di un libro del professor Giovanni Caserta, storico, critico e profondo conoscitore di cose materane che abbiamo deciso di prendere a prestito per ricostruire il percorso lungo i luoghi dei tragici fatti del 21 settembre 1943 negli stessi orari in cui si svolsero. Giovanni Caserta ha parlato direttamente con molti dei protagonisti di quelle tragiche vicende, delle quali egli stesso conserva alcuni vaghi ricordi (all'epoca aveva quattro anni). Abbiamo approfittato della sua disponibilità per girare i trenta minuti di questo documento video per ripercorrere tutte le tappe di quella che spesso erroneamente viene definita "insurrezione" al nazifascismo. Si trattò di un "incidente di guerra" che segnò dolorosamente, il destino di molte famiglie della città di Matera.

RIONERO

Anche Rionero in Vulture, paese natale di Giustino Fortunato, a nord della Basilicata, paga un duro tributo di sangue. Già dall'11 settembre si era fermato in paese un reparto tedesco in ritirata insieme a un manipolo di paracadutisti italiani. Il 16 settembre la popolazione rionerese, per paura della distruzione da parte tedesca dei magazzini viveri dell'Intendenza della VII Armata (cosa che avvenne in seguito), assalta gli stessi magazzini ubicati nei pressi delle casette asismiche del Rione Sant'Antonio, portando via sacchi di farina, di riso e altri generi alimentari. I tedeschi intervengono sparando sulla folla. Alla fine sul selciato resta Antonio Cardillicchio, di 17 anni, colpito mentre tenta di trascinare un sacco di farina. Perde la vita anche una donna, Elisa Giordano Carrieri, che resta intrappolata nei magazzini e perisce nel successivo incendio. I giorni seguenti furono vissuti in un clima di terrore, sia per il coprifuoco imposto dalle truppe occupanti, sia per la notizia diffusa da Radio Londra riguardante una strage analoga avvenuta a Matera. Intanto le truppe nazifasciste affrettarono la ritirata, razziando le campagne attorno al centro abitato. Pochi giorni dopo, il 24 settembre, nei pressi del Calvario, alla periferia del paese, un contadino, Pasquale Sibilia, svegliato di soprassalto dalle grida della figlia, esce di casa imbracciando un fucile. Vede un sergente dei paracadutisti che sembra gli stia rubando una gallina e gli spara, ferendolo di striscio. Il militare risponde al fuoco colpendo all'inguine il Sibilia. Parte la dura rappresaglia. Il capitano dei paracadutisti, autorizzato dall'ufficiale tedesco, fa rastrellare 16 giovani che, insieme al Sibilia, portato su una barella, vengono trucidati a colpi di mitragliatrice. I tedeschi lasciarono il paese quattro giorni dopo, a seguito dell'avanzata delle truppe canadesi in arrivo dalla Calabria. Dopo la liberazione da parte degli alleati, il comandante della guardia municipale e i paracadutisti italiani furono processati e successivamente assolti. Dopo la tragedia, nel luogo in cui si verificò il massacro, fu eretta una stele monumentale sormontata da una fiaccola bronzea a perenne memoria per ricordare l'accaduto. Il 29 settembre 2003, in occasione del sessantesimo anniversario dell'evento, l'allora presidente della Camera dei Deputati, Pierferdinando Casini, giunse a Rionero per onorare i trucidati e donare al comune la medaglia al merito civile. «Centro occupato dalle truppe tedesche, durante l’ultimo conflitto mondiale subì violente rappresaglie e rastrellamenti che provocarono la morte di diciotto concittadini inermi. Nobile esempio di spirito di sacrificio ed elette virtù civiche.» Rionero in Vulture (PZ), Settembre 1943. 69° Commemorazione delle Vittime dell’Eccidio Nazifascista del tenutosi a Rionero il 24 Settembre 2012 “Mantenere e valorizzare la memoria storica della nostra comunità per rafforzare la coscienza dei valori alla base della democrazia e dei diritti”: questo, secondo quanto riferisce l’Assessore alla Cultura Vito D’Angelo, è l’obiettivo primario che si è posto l’Amministrazione Comunale nel suo rapporto diretto con la società civile. Obiettivo sicuramente raggiunto nell’ambito della 69° Commemorazione delle Vittime dell’Eccidio Nazifascista del tenutosi a Rionero il 24 Settembre 2012 per ricordare un “avvenimento che – continua D’Angelo – ha segnato profondamente la coscienza della nostra comunità e che, con la scomparsa di testimoni diretti, corre il rischio di uscire dalla memoria collettiva”. Quest’anno però la manifestazione ha visto l’inaugurazione di un “percorso della memoria” che, attraverso l’installazione di quattro epigrafi scultoree, attraversa i luoghi più significativi della tragedia, non solo per la storia ufficiale ma, anche per quella più privata dei cittadini. “L’approccio – conclude D’Angelo – non voleva essere solo quello della celebrazione rievocativa, ma quello della ricerca di percorsi e linguaggi innovativi in grado di toccare anche i tasti delle emozioni per coinvolgere, per comunicare e tramandare la memoria”. Scoperta dal Sindaco Antonio Placido e dal Presidente del Consiglio Comunale Maria Pinto, la prima epigrafe è stata posizionata in Vico Terzo Caracciolo, di fronte la casa che apparteneva a Pasquale Sibilia. La strage Durante una delle razzie al rione Chian’cantin si verificò un incidente. Una donna gridò e Pasquale Sibilia, contadino 48enne, credendo che i razziatori la molestassero, intervenne ferendo con un colpo di pistola la mano di un paracadutista italiano collaborazionista, il capitano della Folgore Garofalo Donato, fascista e collaborazionista originario di Foggia. Il capitano collaborazionista Edoardo Sala voleva far saltare in aria la casa del Sibilia, per punizione; la rappresaglia che ne seguì, in realtà, fu più dura. Da questo episodio cominciò il rastrellamento delle altre povere vittime dell’eccidio perché, secondo una legge di guerra non scritta, per ogni soldato tedesco ferito andavano fucilati 10-20 residenti. E così fu. Il Sibilia ed altri, rastrellati per le strade con la scusa che si dovevano eseguire dei semplici lavori di scavo, furono falcidiati da una mitragliatrice, mentre tenevano in mano gli attrezzi da scavo. Di essi si salvò solo mastro Stefano De Mattia, svenuto al rendersi conto di quanto accadeva e capitato sotto i corpi degli altri. Chi dava il colpo di grazia ai caduti non ritenne necessario farlo con De Mattia, il quale aveva la testa tutta arrossata del sangue di altri compagni ed il pallore della morte sul viso. Per un dettagliato resoconto dell’eccidio, si consiglia la lettura del libro Gli anni difficili, Rionero 1943 di Paolino Di Giovanni, che ha trattato i fatti con dovizia di prove testimoniali e documentazione ricavata dagli archivi della Corte d’Appello di Potenza. Qui si svolse il processo intentato contro Ubaldo Libutti, comandante dei vigili urbani di Rionero, ed i collaborazionisti repubblichini, con l’imputazione di “aver avuto parte attiva” sia nella triste vicenda del saccheggio dei viveri della VII Armata italiana nelle casette asismiche di Sant’Antonio, sia nell’istigare i nazifascisti a compiere l’eccidio del 24 settembre. Il processo durò circa dieci anni, perché fosse chiuso definitivamente, ma nessuno pagò per quelle vittime innocenti. Al rione Piano delle Cantine, all’estrema periferia nord ovest di Rionero, dove avvenne la strage, c’è oggi un giardinetto con un monumento dove sono incisi i nomi dei fucilati, e una lapide con quelli dei due periti nel saccheggio. La seconda epigrafe invece è stata posizionata in quella che, secondo il Prof. Donato Di Lucchio, erroneamente viene chiamata Piano delle Cantine. Quartiere contadino appartenente all’antica zona del “Calvario”, fu teatro di rastrellamento, di retate fatte senza alcun criterio. Il lungo corteo a cui hanno partecipato anche le forze dell’ordine e gli Istituti Scolastici di tutta la cittadina fortunatiana, si è poi mosso silenziosamente verso le “casette” del Rione Sant’Antonio. Qui, il 16 Settembre del 1943, si consumò un’altra tragedia che scosse la popolazione rionerese: alla notizia che i nazifascisti si stessero apprestando a dar fuoco ai magazzini militari posizionati nel Rione Sant’Antonio, una folla di civili rioneresi si mosse verso l’area decisa a prelevare i pochi viveri rimasti all’interno. Alcuni tedeschi di passaggio su un mezzo blindato, attirati dalla confusione e dagli spari, intervennero per sedare il tumulto facendo uso delle armi: rimase ferita alle spalle una donna, Elisa Giordano, e fu colpito a morte un ragazzo diciassettenne, Antonio Cardillicchio. I tedeschi poi dettero fuoco alla casetta, nella quale morì arsa viva la donna precedentemente ferita, e andarono via. La quarta e ultima tappa di questo percorso della memoria è il luogo simbolo della tragedia: il Sacrario sito in Largo dell’Eccidio nazifascista più conosciuto come Monumento dei Caduti. Qui è stata scoperta l’ultima epigrafe su cui sono stati impressi i 17 nomi dei cittadini incolpevoli, padri, fratelli, cugini, ammassati e passati brutalmente per le armi. Sibilia Pasquale, di anni 48; Emilio Buccino, 28enne appena rientrato in famiglia in seguito alla sbandamento verificatosi dopo la firma dell’Armistizio dell’8 Settembre 1943; i fratelli Di Lucchio Pasquale, di anni 29, e Pietro, di anni 39, accorsi in Via Caracciolo dopo che s’era sparsa la voce dell’accaduto; Antonio Di Pierro, di 46 anni; Marco Grieco, di soli 16 anni; Michele Grieco di anni 29; Donato Lapadula, di anni 23; il falegname 40enne Giuseppe Libutti Antonio, prelevato al posto di Giuseppe Grieco che aveva mostrato loro la tessera di combattente in Spagna; Angelo Mancusi, di 21 anni; Donato Manfreda, di 21 anni; i fratelli Giovanni e Pasquale Manfreda, rispettivamente di 22 e 31 anni; i fratelli Antonio e Gerardo Santoro, di 18 e 21 anni e Giuseppe Santoro, di anni 45. Dopo lo sbarco degli angloamericani in Sicilia, avvenuto il 9 luglio '43, a Rionero si avvertiva una certa tensione. Alcuni già dicevano apertamente che ormai si era alla frutta e che, pertanto, non c’era più alcuna speranza di un esito positivo del conflitto. Bisognava pensare al dopo, perché tutti erano convinti che la guerra sarebbe finita prestissimo. A via Mazzini c’era una sola casa dotata di radio: quella di Vincenzo Crovace, impiegato del dazio, la cui moglie gestiva un negozio di generi alimentari. In segreto, le persone più acculturate del quartiere, nottetempo, ascoltavano Radio Londra e si erano convinte che presto si sarebbero liberati dal fascismo, tornando ad essere un popolo libero. Il fascismo cadde il 25 luglio, l’8 settembre fu annunziata la resa dell’Italia agli alleati. La sera dell’8 settembre nel cielo di Rionero si verificava uno scontro tra gli aerei da caccia di scorta ai bombardieri alleati e quelli tedeschi, che cercavano di disturbare le squadriglie di fortezze volanti. Poco più tardi, era stata bombardata Potenza. Nello spazio di due giorni, molte famiglie di rioneresi cercarono e trovarono rifugio fuori dell’abitato in grotte, case coloniche e masserie. Verso il 20 settembre Potenza era stata liberata dagli alleati. Iniziava quindi la ritirata delle truppe naziste dalla nostra regione, per evitare di essere accerchiate. La strada statale 93, che aveva visto passare le truppe dell’Asse che scendevano al Sud per arrestare l’avanzata alleata, ora vedeva risalirle in ritirata. Rionero era punto di riferimento per la ritirata, anche per la presenza della stazione ferroviaria. In quei giorni crollò il ponte ferroviario sulla statale n. 8 per Ripacandida, preventivamente minato dai tedeschi. Qualche giorno dopo, un vecchietto delle vicine case asismiche, volendo far provvista di legna, pensò di portarsi a casa qualche spezzone di traversa, ma restò straziato dallo scoppio di una mina inesplosa o appositamente coperta, insieme ad una donna fortunatamente rimasta solo ferita. Infine anche Rionero ebbe il suo bombardamento, il 22 settembre. Le bombe caddero tra la stazione ferroviaria e la sede del comando tedesco, sistemato in una casetta asismica, oggi trasformata in abitazione normale. La notte del bombardamento, le bombe sganciate furono solo due e si ebbe solo una vittima.


Video: Soldati Lucani raccontano storie di guerra e di prigionia